La Stanza del Petrarca

Petrarca e le lettere scitte da Capranica

PRIMA LETTERA DEL PETRARCA AL CARDINALE GIOVANNI COLONNA DA CAPRANICA

Avrei proprio trovato nell’agro romano un soggiorno adattissimo il mio stato d’animo, se il mio pensiero non volasse altrove. Fu chiamato il Monte delle Capre, forse perché, folto di virgulti selvatici, sembrò più adatto alle copre che agli uomini; poi, fattosi noto per la bellezza della posizione e per la molta fertilità, accolse a poco a poco alcuni abitanti, dai quali fu eretta una rocca su un monticello abbastanza alto; ma quel tanto di case che possono stare su quell’angusto colle non ha ancora perduto il nome venutogli dalle capre. Paese ignorato, è tuttavia cinto da luoghi assai famosi. Da una parte il monte Soratte, noto come la dimora di Silvestro, ma già prima di Silvestro celebrato dai poeti, e dall’altra, il monte Cimino col suo lago, di cui fa parola Virgilio; e ancora Sutri, a circa due miglia, sacra a Cerere e, come narrano, fondata da Saturno. Non lontano dalle mura si mostra un campo, dove narrano essere stato per la prima volta gettato in Italia il seme del frumento da un re straniero, e per la prima volta mietuta la messe; e per questo mirabile beneficio cattivatisi gli animi degli abitanti, quel vecchio re, chiamato a regnare su di loro mentre era in vita, poi che fu morto in voce di Dio, fu venerato con in mano la falce.
Il clima per quanto si può giudicare da un breve soggiorno, è saluberrimo; da ogni parte innumerevoli colli facili da raggiungere e a salire, e ricchi di belle vedute, tra i quali si annidano ombrosi recessi e oscure caverne. Da ogni parte sorgono boschi frondosi a riparare dagli ardori del sole, salvo che a settentrione un colle più basso fiancheggia un’aprica valle ricca di fiori per il miele delle api. Fonti di acque dolci mormorano nel fondo delle valli, e cervi, daini, caprioli e tutti gli animali dei boschi vagano in questi aperti colli; ogni sorta di uccelli cinguetta tra le acque e tra i rami, senza parlare degli armenti dei buoi e delle mansuete pecorelle e dei frutti del lavoro degli uomini, dei doni dolci di Bacco e ubertosi di Cerere e più in là di certi abbellimenti della natura come i vicini laghi e i fiumi e il mare non lontano. La pace soltanto io non so per quale delitto di questa gente, o legge del cielo, o fato o influsso delle stelle, sia bandita da questa terra. Lo crederesti? Armato in queste selve veglia il pastore, temendo non tanto i lupi quanto i ladroni; coperto di corazza il bifolco, maneggiando l’asta a guisa di pungolo, stimola di dietro il bue recalcitrante; l’uccellatore copre le reti con lo scudo e il pescatore sospende a una rigida spada l’esca attaccata all’amo ingannevole; e, ciò che ti sembrerà ridicolo, chi attinge acqua lega a una rozza fune un elmo rugginoso. Insomma, nulla qui si fa senz’armi. Che è questo notturno grido delle scolte sulle mura, che sono queste voci chiamanti alle armi, che per me hanno preso il posto di quei canti ch’io solevo trarre dalla dolce mia lira? Tra gli abitanti di queste regioni invano cercheresti cosa alcuna sicura, nulla vedresti di pacifico o umano; tutto all’aspetto di guerra, di odio o di opera del demonio.
In questo luogo, o padre venerando, sempre incerto tra il si e il no, io mi trovo da ormai 15 giorni; e- tanto può in ogni cosa l’abitudine! – mentre tutti corrono continuamente al castello tra vocio di soldati ed echeggiare di trombe, potresti vedermi vagare spesso tra questi colli, meditando qualcosa che mi acquisti il favore dei posteri. Tutti guardano a me con ammirazione, tranquillo, intrepido e inerme; e al contrario io ammiro tutti costoro, trepidanti, solleciti, armati. Questa è la contraddizione delle cose umane; e se tu mi domandassi se vorrei andarmene di qui, non saprei che dirti: desidero partire e mi piace rimanere.
Al primo dei due partiti sono più spinto; non che qui io soffra molestia, ma perché mi son mosso per vedere Roma; ed è cosa secondo natura che l’anima non abbia pace finché non ha raggiunto il suo voto. Questo a me sembra che grande autorità abbia l’opinione di chi affermava che le anime dei defunti saranno private della beatifica visione di Dio, nella quale consiste la piena felicità dell’uomo, finché non avranno ripreso il loro corpo, che non possono non desiderare di riavere; sebbene quest’opinione già da tempo per l’autorevole giudizio di molti sia stata superata e sepolta insieme con un suo autore; e scusami, tu che tanto amasti non i suoi errori ma lui. Addio.

SECONDA LETTERA DEL PETRARCA DA CAPRANICA

In questo monte da capre, anzi da leoni e da tigri, abita il tuo Orso Conte dell’Anguillara, più mite di un agnello amante della pace senza temere la guerra, sicuro in mezzo alle guerre non senza desiderio di pace, A nessuno secondo nell’ospitalità, pieno di senn0, gentilmente severo e rigidamente benigno verso i suoi, Amico delle Muse e ammiratore e lodatore elegantissimo degli ingegni migliori. E con lui e la egregia sua moglie e tua sorella Agnese, che ebbe in sorte un nome non contrario (come quello di lui), ma conveniente alla sua indole. E della quale, come dice di Cartagine Sallustio, stimo meglio tacere che dir poco. Vi sono infatti certe cose che in nessun modo meglio che con lo stupore e col silenzio si lodano; è tra esse è la tua sorella. Questa coppia mite e concorde io ho trovato qui, come rose e gigli tra roveti e pruni; la sua vita tempera in me l’asprezza del resto. Ad essi si è aggiunto quell’uomo veramente divino e singolare Giacomo Colonna vescovo di Lombez tuo fratello, il quale, avendogli io fatta aggiungere la notizia del mio arrivo chiedendogli quel che dovessi fare, poiché, impedendo i nemici ogni accesso alla sua casa non mi pareva di poter con sicurezza andare a Roma. Mi rispose congratulandosi del mio arrivo ed esortandomi ad aspettarlo. E pochi giorni dopo, il 26 di gennaio venne qui con Stefano suo fratello primogenito l’altra virtù del quale è anch’essa degna della lode dei Poeti; e vennero qua l’uno e l’altro scortati da non più di 100 cavalieri in armi non senza trepidazione di ognuno essendo noto che più di 500 militano sotto le bandiere dei nemici. Ma aveva loro spianato il cammino quella fama di condottieri, che spesso basta a terminare le guerre. Con queste anime elette io abito in tanta dolcezza, da sembrarmi d’essere altrove che sulla terra, né più sospiro tanto a Roma. Ma vi andrò; sebbene si dica che nemici hanno ora chiusi ancora più i varchi presso la città. Addio.